Una volta l’anno, da due anni a questa parte, sono contento di pagare il canone Rai. Sì perché finalmente ho ragione di pensare che il servizio pubblico è rivolto anche a gente come me, gente che quando gli parlano di Isola gli viene in mente Robert Louis Stevenson, gente che ascolta gli Who e non certo Mangoni (chi era costui?), e che di Morgan, beh, francamente se ne infischia.
Una volta l’anno, da due anni a questa parte, Mamma Rai, insospettabilmente fa felice anche me. Veramente mi chiedo il perché, ma temendo che ci ripensi lo faccio a bassa voce, almeno in attesa di conoscere le cifre dello share del Superbowl trasmesso domenica notte in un orario che solo noi incalliti del football americano e i sonnambuli possono reggere senza timore di addormentarsi la mattina dopo davanti al proprio Pc.
E allora parliamo di questo Superbowl: alla fine hanno vinto i New Orleans Saints, la squadra per cui domenica notte facevo il tifo (c’è sempre da parteggiare sportivamente per qualcuno quando non c’è la tua squadra in finale, solo che di solito scelgo sempre la squadra sbagliata. Anzi, per l’esattezza è dal 1996 che non festeggiavo un Superbowl, quando lo vinsero i “miei” Cowboys sugli Steelers).
Si potrebbe scrivere un libro sulla rinascita di New Orleans quattro anni dopo Katrina e sull’impatto empatico e terapeutico che questo successo ha sul popolo statunitense, in ginocchio per la crisi la disoccupazione la guerra e quant’altro. Si potrebbe scrivere un libro e quindi non mi soffermo più di tanto in questo post.
Però mi impunto e voglio provare a far capire anche ai non appassionati com’è strano questo sport, il football americano. Lo guardi e pensi che la differenza la facciano i muscoli, quel sano vigore da unni, capaci di macinare la terra su cui stanno marciando diretti nella direzione del proprio obiettivo (la meta, l’annientamento degli avversari). E invece partite come il Superbowl numero 44 sono la palese dimostrazione che questo non è uno sport da mammut bensì da formichine, sagge, pazienti, indomabili. Che anche nella difficoltà di un gelido -10 (come lo svantaggio iniziale dei Saints) non si fanno prendere dal panico e continuano ad accantonare provviste per quando verranno i tempi migliori. Perché oh sì, i tempi migliori arriveranno, potete starne certi, basta saper aspettare. Magari ci si impiegano quarantatre anni (tanto quanto i Saints ci hanno messo per raggiungere il Superbowl), ma quello che conta è non arrendersi mai.
La cronaca dettagliata della partita mi sono tolto lo sfizio di RACCONTARLA QUI, sul sito di Fixing. C’è pure una ricca FOTOGALLERY perché (anche se, lo ammetto, sono di parte) stiamo parlando di uno sport estremamente fotogenico.
Così posso ancora divagare, e dedicare un rapido pensiero a Mr President, Barack Obama (appassionato sportivo anche se predilige il basket al football) alle prese con l’ennesima “toppa”, ovvero un pronostico “ufficiale” a favore dei Colts.
Non voglio infierire, ci mancherebbe, perché a leggere qualche mio precedente post potrebbe sembrare che sono prevenuto nei confronti del leader degli States, mentre invece le mie soventi critiche nascono dalle grandi aspettative riposte in lui. Certo non si possono mettere a confronto cose così diverse come un innocuo pronostico sportivo con la decisione di inviare nuove truppe all’indomani della consegna del Nobel per la Pace, con un rischio-flop più concreto che mai che incombe sulla grande riforma sanitaria dopo la sconfitta elettorale nel feudo dei Kennedy alla morte di Ted, con l’annuncio di Kennediana memoria (rieccoci) del ritorno degli americani sulla Luna entro la fine del decennio salvo poi fare rapidamente dietrofront per problemi di budget… Si tratta di un semplice caso, ma che strappa un sorriso. In realtà Obama, da buon democratico, ha semplicemente detto di tifare leggermente per i Saints, o meglio per la città di New Orleans, rispetto ai Colts che in passato hanno battuto la sua Chicago al Superbowl, ma che riteneva comunque Indianapolis leggermente favorita, per una vittoria di misura.
Che sia la Luna o l’Afghanistan, il Senato o la palla ovale, insomma, da qualche tempo a questa parte il buon Obama non ne azzecca più una. Speriamo per lui e per gli Stati Uniti (e quindi anche per noi, data l’inevitabile ricaduta sul vecchio continente dei casi a stelle e strisce) che il vento torni a girare.